Conferenza La tradizione delle Sibille
mercoledì 8 maggio, ore 21:00
Non è facile tracciare un profilo completo di queste figure, sebbene siano conosciute ai più. Lo stesso significato della parola “sibilla” rimane ancora non chiaro o incerto. Secondo alcuni studiosi essa potrebbe avere il significato di “vergine nera”, cioè la vergine (anche come figura della divinità) che opera in un luogo nascosto, non conosciuto, segreto (nero), oscuro come il messaggio della divinità che viene ricevuto e decifrato solo da chi lo riceve, o come l’antro (nero) nel quale la tradizione colloca questi personaggi quando pronunciano i loro “vaticini”.
Di certo sembra che le sibille fossero tutte donne e vergini, una verginità intesa anche in senso simbolico come intoccabilità dal mondo, le quali davano responsi e fornivano predizioni, spesso difficilmente decifrabili.
Nel mondo antico indovini, pitonesse o profeti pronunciavano oracoli o predizioni, a nome di molte divinità nella loro funzione sacerdotale o anche al di fuori di questa, la Pizia delfica è uno dei casi più noti.
Si credeva anche che, prima degli oracoli, fossero esistite alcune speciali interpreti della parola divina, esclusivamente di sesso femminile, non soggette al passare del tempo, isolate dal mondo e poco inclini a mostrarsi ai questuanti: erano le cosiddette Sibille.
Se ne indicava l’antica residenza in luoghi remoti, sparsi fra l’Asia Minore, l’Africa e le coste occidentali del Mediterrano. Varrone ne elencò dieci: la persiana, l’eritrea (da Eritre, in Lidia), l’ellespontia, la frigia, la cimmeria, la Ubica, la delfica, la samia, la cumana e la tìburtina.
Una voce popolare riteneva che si trattasse in realtà di un’unica Sibilla, immortale, che aveva la capacità di spostarsi in luoghi diversi ove ce ne fosse bisogno.
Nella mitologia greca e romana, sibilla era una qualsiasi donna dotata di poteri divinatori ricevuti in dono dal dio Apollo.
In epoca greca si tramandava che le Sibille vivessero in grotte o nei pressi di corsi d’acqua ed i loro vaticini si verificavano in un’inconsapevole frenesia e sotto forma di esametri greci. Secondo gli antichi scrittori greci una Sibilla, probabilmente Erofile di Eritre, aveva predetto la guerra di Troia.
Nel mondo ebraico si ebbero le profetesse interpellate dai sacerdoti. Fra queste sono rimaste celebri Debora e Holda. Al tempo del re Iosia [ndr. nel 638-609 a.C.] Holda fu consultata da una commissione di sacerdoti per il ritrovamento della “Legge del Signore” nel Tempio [ndr. in caso di invasioni venivano fatte diverse copie, alcune false, della Torah, e sepolte o nascoste per impedirne la profanazione]. Questa commissione andò da Holda per sentire il responso di Dio. La profetessa confermò l’autenticità del testo ritrovato. Predisse un’adeguata ricompensa per lo zelo riformatore del re Iosia e gravi minacce a chi non lo avesse osservato. L’episodio fu decisivo per la religione ebraica. Avvenne nel 621 a.C., 18 di Iosia. Non meno importante fu Debora, anche lei profetessa, poetessa e giudice, eroina, sposa di Lapidoth. Secondo la Bibbia tradotta dai Settanta e la Volgata, Debbora o Débhorah significa “ape”. Per la sua autorità di profeta, se ne stava sotto una palma, e a lei ricorrevano i sacerdoti e il popolo di lsraele (Giudici, IV, 1-51). (Tommaso Palamidessi, Secondo Quaderno di Archeosofia).
Parleremo di sibille, pizie e profetesse con la studiosa Emanuela Passarelli mercoledì 8 maggio alle ore 21,00 in Piazza Ungheria 6, interno 3. Ingresso libero.